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L'Eccidio di Buggerru

L'ECCIDIO DI BUGGERRU

Di Valentina Viaggiu (*)

Nel lontano 1904 a Buggerru si tenne la prima manifestazione di protesta dei lavoratori contro condizioni lavorative arbitrarie oltrechè disumane.

La protesta di Buggerru si inseriva perfettamente nel contesto nazionale nel quale la sinistra radicale cominciava ad avere la meglio all’interno delle assemblee dei lavoratori. Gli scioperi degli operai erano più frequenti nel Meridione, dove le condizioni economiche e sociali apparivano degradanti e brutali.

Nel contesto sardo le ragioni delle proteste apparivano ancora più forti e legittimate da condizioni di continuo sfruttamento coloniale che la Sardegna, ai primi del Novecento, continuava a subire.

Da sempre la nostra Isola ha risentito della mancanza di incoraggiamento alle potenzialità isolane; ciò si è manifestato nel passato, per esempio nello sfruttamento agricolo da parte dell’Impero Romano (la Sardegna era la riserva frumentaria dell’Impero), prima ancora dai Punici; l’impero Spagnolo non si pose mai il problema di apportare dei miglioramenti alle condizioni dei sardi. Vogliamo parlare allora dei Savoia? Forse è meglio non dire più del necessario su di questi! I quali dopo averli regalato il titolo di “Regno” hanno cominciato a svendere il territorio sardo.

Lo sfruttamento delle miniere, che fu in passato un attrattiva delle popolazioni del Mediterraneo che venivano a scambiare i nostri materiali con i loro prodotti, fu dato in concessione a società francesi. Queste società, convinte di essere in una delle tante colonie, sfruttavano le nostre risorse minerali ed umane.

La società Malfidano di origine francese, che aveva in concessione le miniere di Buggerru, aveva sostanzilamente in mano la vita di ciascun lavoratore. I minatori, che provenivano da ogni parte dell’Isola, alloggiavano in abitazioni di proprietà della società ai quali si doveva pagare l’affitto; i generi alimentari erano venduti negli spacci sempre aziendali a prezzi maggiorati; i salari avevano un potere d’acquisto bassissimo considerata la crisi in corso; inoltre non si poteva far parte di organizzazioni o cooperative che potessero salvaguardare i propri diritti col rischio di perdere il lavoro.

Ma furono sopratutto le condizioni di lavoro che furono sempre più motivo di malcontento: le ore oscillavano da un minimo di 10 a un massimo di 12 (considerando il tipo di lavoro le ore sono sproporzionate), l’attrezzatura per lavorare doveva essere di proprietà di ciascun operaio.

Già da tempo i minatori organizzavano gli scioperi, che venivano superati dai datori di lavoro con la minaccia del lincenziamento. Posto di lavoro che in quel primo scorcio di secolo rappresentava una “fortuna” considerate le condizioni di povertà che si vivevano nelle campagne gravemente affamate.

Nei primi giorni di settembre i direttori della società, alle varie rivendicazioni dei lavoratori, rispondono con una riduzione dell’orario nell’intervallo pomeridiano. Così i minatori di Buggerru, forti della presenza dei rappresentanti dell’unica Lega costituitasi in quel periodo, il 3 settembre cominciano lo sciopero. I rappresentati avviano le trattative con la direzione della società la quale, sicura dell’imminente arrivo dei militari, chiude ogni trattativa. Intanto tra i militari e i lavoratori si hanno degli scontri: siamo al 4 settembre e gli scontri provocano feriti e morti tra i minatori, tre manifestanti muiono, di cui un sardarese.

La politica dello Sato liberale, in quel periodo, risente fortemente di conservatorismo malgrado le apparenti aperture riformiste del Giolitti. Nell’affrontare i problemi il governo continua a rispondere con il mezzo decisamente più facile e meno impegnativo (politicamente) ovvero l’invio di truppe e la creazione dello stato d’assedio nelle zone socialmente instabili.

I primi anni del Novecento furono per la Sardegna un periodo di forti dissensi nei confronti dello Stato: la constatazione del continuo sfruttamento coloniale del territorio e dei reali dissinteressamenti politici del governo, portarono a contemplare l’idea di separare l’Isola dall’Italia. Con ciò si voleva semplicemente legalizzare una condizione di fatto già esistente. Furono di questo periodo i primi motti inneggianti all’allontanamento dei continentali dalla regione.

Lo stesso Antonio Gramsci avrà in mente questi momenti quando, subito dopo la guerra, coniò la famosa frase “a foras is continentales”.

Al termine dello sciopero, conclusosi in maniera tragica, l’orario di lavoro venne riportato a quello precedente. L’eccidio di Buggerru ebbe eco in tutta l’Italia e passa alla storia come uno dei momenti più importanti dei lavoratori italiani: dopo pochi giorni venne proclamato lo sciopero generale.

Se pensiamo che ancora in Sardegna le potenzialità dei sardi non hanno grande peso all’interno del nostro stesso territorio; se pensiamo che molte delle società presenti in Sardegna sono a capitale straniero che puntualmente vengono sovvenzionate dallo Stato e dalla Regione; se pensiamo alla diffusione del lavoro in nero; se pensiamo alle Servitù militari; se pensiamo alla svendita in atto di parti del nostro patrimonio; se pensiamo ai Savoia...ci viene in mente che le cose non sono tanto cambiate!!.


(*) Dott.ssa Valentina Viaggiu; laurea in Scienze Politiche, vive e lavora a Sardara.


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