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La Storia Il documento più antico che attesta l'esistenza della miniera di Monteponi risale al 1324, menzionata nel testamento di un imprenditore minerario Pisano, col nome di Monte Paone. Nel 1628 alcuni cavatori di galena citano la località Sa Sedda de Monti Luponi. Nel 1638 la località viene citata sotto il nome di Monte de Poni. Soltanto nel 1649 il toponimo comparve nella forma attuale: Monteponi. Già alla fine del '700 questa miniera veniva considerata come la più promettente della Sardegna, tanto che nel 1725 fu costruita a Nord di Iglesias (presso il rio Canonica) la prima fonderia della miniera ad opera dei concessionari Nieddu e Durante. Fu però con Carlo Gustavo Mandel che i lavori subirono un notevole sviluppo; infatti venne dato inizio allo scavo della galleria San Vittorio utilizzando la polvere nera. Il minerale veniva quindi inviato alla nuova fonderia di Villacidro. Dopo la gestione del Mandel la miniera attraversò un periodo di crisi a causa delle cattive gestioni ma soprattutto a causa del fatto che mancavano strumenti legislativi adeguati per affrontare una importante attività industriale. La svolta si ebbe nel 1840 con la promulgazione della Legge degli Stati Sabaudi, venne dato un grande impulso all'attività mineraria, in quanto per la prima volta veniva scisso il diritto di proprietà del suolo da quello di coltivazione delle risorse del sottosuolo. Il risultato immediato fu la concessione alla miniera di Montevecchio a cui seguì lo stesso anno quella di Monteponi controllata da un gruppo di ricchi imprenditori con a capo Paolo Antonio Nicolay. Nasceva nel febbraio del 1850 la Società di Monteponi. Nel 1861 sotto l'impulso di nuovi azionisti piemontesi furono acquistate la limitrofa miniera di San Giorgio, il permesso per Campo Pisano ed iniziarono i lavori nel cantiere di Is Cungiaus. Per abbattere i costi di trasporto nel 1870 fu inaugurata una linea ferroviaria lunga 22 km che arriva fino alla costa di Gonnesa, dove sarebbe sorto un porto d'attracco in onore dell'allora presidente, Carlo Baudi di Vesme. La coltivazione del ricco giacimento di galena argentifera restituiva notevole importanza alla miniera di Monteponi, infatti fu proprio in questo periodo che iniziò a svilupparsi il villaggio minerario oltre alle strutture che dovevano ospitare nuovi impianti: sorsero le laverie semimeccaniche Nicolay e Villamarina oltre al Pozzo Vittorio Emanuele. Nel 1865 sorse l'elegante Palazzo Bellavista che doveva ospitare i dirigenti della miniera. Tra il 1872 e il 1874 fu realizzato il Pozzo Sella per risolvere il problema di eduzione delle acque sotterranee presenti nel bacino metallifero dell’Iglesiente che impedivano l'approfondimento degli scavi di estrazione dei minerali. Purtroppo le pompe a stantuffo installate all'interno del pozzo non riuscirono ad abbassare il livello idrostatico. Nel 1875 ci fu un cambio ai vertici societari, visto che l'Ing. Ferraris e l'avvocato Cattaneo furono nominati rispettivamente direttore e presidente della società. Con nuove energie finanziari e doveva essere affrontato il grande problema dell'eduzione delle acque, che non permetteva la coltivazione del giacimento sotto una certa quota. Il problema fu risolto affrontando una impresa faraonica per l'epoca: dopo aver avuto il parere favorevole degli Ing. Gouin, Marchese e del ministro Quintino Sella si pensò alla realizzazione di una galleria di alcuni chilometri (4.2 km) che partendo dalla quota del mare all'altezza della fonderia di Fontanamare raggiungeva i cantieri sotterranei di Monteponi, permettendo ad una grandissima quantità d'acqua di defluire. Con l'aiuto finanziario dello Stato nel 1889 venne ultimata la galleria di scolo denominata Umberto I, che in breve tempo prosciugò i cantieri sotterranei risolvendo l'annoso problema dell'eduzione delle acque. Gli investimenti successivi verranno ora indirizzati verso l'ammodernamento degli impianti; venne costruita in questi anni una moderna fonderia ed ultimata la laveria Calamine. Questa laveria doveva trattare un centinaio di tonnellate al giorno di materiale calaminare proveniente dalla miniera di Is Cungiaus. All'interno di questa laveria furono sperimentati nuovi impianti come l'idrovaglio, la tavola oscillante e la cernitrice magnetica. Le cernitrici magnetiche e la tavola oscillante ideate dall'Ing. Ferraris vennero brevettate già nel 1887 vennero installate nella laveria magnetica (1889) annessa alla laveria Calamine. La laveria Vittorio Emanuele venne completamente meccanizzata e trasformata tra il 1881 e il 1884, con una spesa di 130.000 lire. In quel periodo la laveria era costituita da 3 piani che ospitavano i seguenti macchinari per il trattamento del minerale grezzo: Retter a 2 tele sovrapposte, vagli a scossa e a vibrazione, 3 vagli cilindrici, 6 crivelli a 3 scomparti a filtrazione per fini sotto i 3 mm, 7 crivelli a 2 scomparti per minerali sopra i 3 mm, idrovagli per la classificazione delle sabbie. La forza motrice era data da un motore da 35 cavalli, alimentato da una caldaia a vapore, smontata da una vecchia locomotiva. La laveria Mameli nasceva nel 1894 dall'ampliamento della più antica Laveria Pilla e Sacchi; la Mameli, venne ideata per il trattamento dei materiali fini mediante un processo inizialmente idrogravimetrico, a cui venne aggiunta successivamente la flottazione. Nel 1894 entrò in funzione la fonderia elettrica per il minerale di zinco. Nel 1905 si iniziò a valorizzare i minerali poveri di zinco mediante forno a vento, producendo l'ossido di zinco e non lo zinco metallico; fu quindi realizzato (1914) lo stabilimento per il Bianco di Zinco di fronte alla Stazione Ferroviaria per Portovesme. Il processo era alimentato con le antraciti di Seui. Nel 1914 l'ingegno dell'Ing. Francesco Sartori permise di costruire un impianto di trattamento che sfruttava il processo chimico dell'elettrolisi per recuperare i minerali poveri di zinco (a basso tenore) che non potevano essere trattati nelle laverie meccaniche. L'impianto che fu inaugurato nel 1926 era costituito da 168 celle che contenevano una soluzione acida e le lastre catodiche (in numero di 20), sulle quali aderiva lo zinco metallico per effetto del passaggio di corrente. In seguito queste lastre venivano estratte e fuse. Un tale processo abbisognava però di grandi quantitativi di acido solforico, che arrivavano dalle miniere di pirite dell'Isola d'Elba. Nel 1928 venne realizzato il primo impianto Waelz, nato da un brevetto delle Officine Tedesche Krupp e riprogettato dall'Ing. Sartori a Monteponi Scalo. L'impianto consisteva in un forno rotativo (Waelz significa rotolare) alimenato a carbone che fondeva i misti piombo-zinciferi e li trasformava in ossidi. Le scorie fuse uscivano dalla parte bassa del forno, mentre gli ossidi sotto forma di fumi e vapori venivano recuperati mediante ulteriori processi. Tale impianto iniziò a trattare i rifiuti della laveria di Campo Pisano, ma venne fermato nel 1936 dopo aver fornito solo 513 tonnellate di ossidi al 60% di zinco e 10% di piombo. Nel 1967 verrà messo in marcia un nuovo e moderno impianto Waelz. Successivamente l'impianto Waelz fu smontato dalla Samim e rimontato nello stabilimento della Portovesme S.r.l. Dal 1925 migliaia di tonnellate di minerali di piombo e di zinco delle miniere della società Monteponi confluivano nella moderna fonderia di Vado ligure, dopo essere state imbarcate a Portovesme. Nel 1930 le Società Montevecchio e Monteponi fondarono la Società Italiana del Piombo , investendo enormi capitali per la costruzione della Fonderia di San Gavino. In quegli anni fu realizzata una nuova centrale di eduzione a 60 metri sotto il livello del mare, ed il nuova sezione di flottazione a fianco della Laveria Mameli. Gli anni dopo il 1945, fine del secondo conflitto mondiale, la miniera di Monteponi fu interessata da lavori di ristrutturazione. Il periodo post bellico permise la ripresa della coltivazione grazie al rialzo de prezzo di piombo e zinco, ma costrinse la Società ad approfondire i cantieri sotterranei spingendosi sotto il livello -60. Nel 1956 grazie all'ausilio di 3 pompe fu possibile abbassare il livello idrostatico e quindi coltivare i cantieri di Monsignore, Santa Barbara, Albasini e San Marco. Si presentarono però nuovi problemi: il primo causato dal fatto che il minerale di piombo e zinco in profondità risultava più povero, infatti dai solfuri, coltivati in superficie si passava agli ossidati presenti in profondità. Un secondo problema era legato all'aumento del prezzo dell'energia elettrica. Fabbrica Bianco di Zinco Sorta ai primi del '900 questo impianto era composto da 2 sezioni di forni a basso fuoco capaci di trattare18000 ton di calamina e produrre ossidi di zinco leggermente piombosi (Bianco di zinco), particolarmente apprezzato dai produttori di tinte ad olio e di gomma. Negli anni '40 la fabbrica era in piena attività, trattando calamine ferruginose al 22,5 % in zinco, ceneri di zinco al 93 %, e pani di zinco elettrolitico al 99,9 %. Per la produzione del bianco di zinco venivano consumate 1600 ton di coke metallurgico, 33 ton di litantrace e 70 ton di carbocotto (semicoke), impiegando 94 operai. Impianto Elettrolitico dello Zinco Nel processo di elettrolisi si ha un cambiamento dello stato chimico delle sostanze in soluzione al passaggio della corrente elettrica. Nello specifico, lo zinco allo stato ionico caricato positivamente si sposta nella soluzione migrando verso il polo negativo (catodo) dove neutralizza la sua carica e si depone sotto forma di strato metallico, successivamente fuso e trasformato in lingotti. Lo stabilimento di Monteponi rispecchiava sostanzialmente quello di San Dalmazzo nella struttura generale, con la differenza che era stato concepito per trattare i minerali calaminari anziché i solforati. L'impianto risultava in linea di massima costituito da: - un reparto di ricevimento e preparazione del minerale: - un reparto di lisciviazione: - un reparto di separazione della ganga: - un reparto di elettrolisi: Il reparto disponeva di 192 celle, raggruppate in quattro batterie erano costruite in legno e foderate in piombo. Ogni cella contava 20 elettrodi negativi di alluminio (catodi), e 21 elettrodi positivi di piombo (anodi). La corrente elettrica era fornita da quattro gruppi motore sincrono-dinamo a 6.000 A e 200 V; e il reparto era servito da un convertitore esafase; - un reparto fusione: I catodi di zinco prodotti in sala celle passavano al reparto fusione, dove erano attivi un forno ad induzione, ed uno a riverbero riscaldato ad olio pesante, per la fusione delle lastre catodiche e trasformazione in lingotti commerciali; Completavano l'Officina: - un reparto per il recupero del cadmio, previsto per 30 ton/anno di cadmio elettrolitico; - un reparto per la produzione della polvere di zinco, destinata sia alle esigenze del ciclo produttivo, che alla vendita; - una fabbrica di acido solforico attrezzata con due forni Wedge Lurgi, che potevano trattare sia la blenda che la pirite flottata di Campo Pisano, soddisfava ampiamente le necessità dell'impianto. L'impianto elettrolitico, che dal 1926 al 1961 aveva prodotto senza interruzione 188.210 ton di zinco, accompagnate da 504 ton di cadmio, iniziava ad entrare in crisi, preceduta dalla chiusura nel'62 della Fonderia Piombo, e della fabbrica di Bianco di Zinco. Infatti negli anni '60 erano diventati insufficienti i quantitativi di calamine ferruginose fornite dalla miniera di Campo Pisano ormai in fase di esaurimento. Nel 1961 vi fu la fusione con la Montevecchio in un'unica società, a cui seguirono la EGAM e la SOGERSA che cercarono di salvaguardare i 2000 posti di lavoro, da una imminente crisi. Dal 1965 in poi gli ammodernamenti interessarono soprattutto i mezzi, dotando la miniere a di nuove autopale e di uno skip per il Pozzo Vittorio Emanuele. Successivamente nel 1982 la ENI e la SAMIM acquistarono la miniera assieme alla maggior parte delle aziende piombo-zincifere. La maggior parte degli impianti venne fermato e smantellato, mentre i servizi generali ed alcune officine vennero trasferiti nella vicina miniera di Campo Pisano. Oggi, la miniera di Monteponi come gran parte dei beni minerari, è di proprietà dell'Igea spa (tel. 0781491300) , ma l'accesso ai visitatori e ai turisti nella Galleria Villamarina è gestito ora (2020) dalla Società Iglesias Servizi Srl che si occupa della vendita dei biglietti online al link: Genesi del giacimento Il giacimento di Monteponi è un tipico M.V.T. deposits (Mississippi Valley Type) cioè formatosi durante l'evoluzione di rocce carbonatiche paleozoiche. I giacimenti M.V.T. si sono deposti in seguito a fluidi mineralizzati spinti da processi di compattazione all'interno di carsismi, brecce e porosità delle rocce carbonatiche ospitanti. Questi fluidi spremuti migrarono in vie di transito acquisendo metalli e calore e precipitando i solfuri. I minerali caratteristici di questi giacimenti sono: Galena (Solfuro di Piombo), Blenda (Solfuro di Zinco), Pirite (Solfuro di Ferro) e Marcasite (Solfuro di Ferro). Sono spesso presenti anche minerali di bassa temperatura quali Fluorite e Barite. Sardegna Digital Library Video Miniera Monteponi (Istitito Luce). Sardegna Digital Library Video Miniera Iglesias (Istitito Luce). Bibliografia SOCIETA' di MONTEPONI "Centenario della Società 1850-1950". OTTELLI LUCIANO "Monteponi, storia di eventi e di uomini di una grande miniera", Carlo Delfino Editore, 2010. MEZZOLANI SANDRO e SIMONCINI ANDREA "Sardegna da Salvare. Storia, Paesaggi, Architetture delle Miniere" - VOL XIII. Nuoro, Ed.Archivio Fotografico Sardo, 2007. VALERA ROBERTO "Appunti del corso di Giacimenti minerari"- Dipartimento di Ingegneria Ambientale. SELLA QUINTINO "Relazione sulle condizioni dell'industria mineraria in Sardegna" 1871. MUSIO ENRICO "L'Eduzione delle acque nella miniera di Monteponi" -Industria mineraria 1951. Carta Geologica 1:25.000, Foglio 233 Iglesias, 1938. Carta Geologica della Sardegna 1:200.000, 1997 Questa pagina ? stata visitata 77159 volte |
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