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Storia del carbone del Sulcis

..:Museo-Miniera di Serbariu


Le prime notizie sulla presenza di carbone nella regione del Sulcis le dobbiamo al Generale Alberto La Marmora. Nel suo "Voyage en Sardaigne" pubblicato nel 1875, il generale piemontese racconta di un frammento di arenaria «al quale era aderente una sostanza nera carboniosa» ritrovato da lui lungo la strada che da Iglesias conduce a Gonnesa. Correva il 7 novembre 1834. Circa quindici anni dopo cominciava la vita tormentata del bacino carbonifero del Sulcis.

La storia del carbone del Sulcis è una snervante serie di tenaci speranze deluse riguardo le potenzialità di una impresa economica basata sul carbone. Queste speranze hanno nel tempo assunto varie forme.

La speranza poteva essere individuale, come quelle del commerciante genovese Ubaldo Millo, che negli anni Cinquanta dell'Ottocento progettava di vendere il carbone del Sulcis alle imprese minerarie dell'Iglesiente, alle ferrovie e ai piroscafi della nazione e alle piccole manifatture dell'isola.

O quella dell'ingegnere piemontese Anselmo Roux, che per circa trenta lunghi anni, sino alle soglie del Novecento, con tenacia e ostinazione, inseguì l'dea di legare le miniere di carbone del Sulcis alla nascente ferrovia della Sardegna e alla meccanizzazione delle maggiori miniere sarde.

O quella più concreta, informata e avveduta dell'avvocato aretino Ferruccio Sorcinelli che, nei primi decenni del Novecento, per primo progettava di legare i destini del carbone sulcitano (e della sua impresa) alla nascente industria della produzione elettrica sarda. Sembrava l'idea vincente. Sorcinelli era molto informato sulle strategie di investimento delle grandi banche nazionali nello sviluppo del settore elettrico sardo. Per circa una quindicina d'anni tutto andò a gonfie vele, complice soprattutto la Prima Guerra Mondiale. La pacchia finì negli anni Venti, nel momento in cui le società elettriche decisero di sostituire il carbone con l'acqua dei grandi laghi artificiali che in quegli anni si andavano progettando e realizzando.

Il bacino carbonifero sardo vivacchiò lungo tutti gli anni Venti e parte degli anni Trenta. A risollevarne le sorti intervenne la Seconda Guerra Mondiale e i progetti e le speranze imperiali del Duce Mussolini (su questa coincidenza, sviluppo settore carbonifero sardo - guerra, bisognerebbe pur riflettere). Sul carbone sardo il regime fascista investì molto, sia in termini monetari che in termini di aspettative di indipendenza energetica. Fondò una città del tutto nuova, Carbonia, un nuovo porto a Sant'Antioco, una nuova società, la Società Mineraria Carbonifera Sarda (S.M.C.S.) che faceva capo alla Azienda Carboni Italiani (A.Ca.I), aprì nuove miniere (quella di Serbariu era la più importante). Le speranze del regime si infransero contro i cannoni e i carri armati degli eserciti alleati e, purtroppo per la Sardegna, insieme a loro si infransero anche le speranze che i Sardi avevano riposto nel bacino carbonifero sardo.

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Il porto di Sant'Antioco, venne inaugurato nel '38. Negli anni dell'autarchia fu uno degli scali merci con maggiori movimentazioni in Italia. Fu per lungo tempo il terzo scalo italiano per tonnellate movimentate dopo Genova e Napoli. Le grosse gru rimasero sino ai primi anni '60 fino a quando furono smantellate per lasciare posto a quelle gommate. Finito il trasporto del carbone il porto rimase attivo per la movimentazione di vari minerali estratti in Sardegna, principalmente barite e sale prodotto nella limitrofa salina dai primi anni '60. Ulteriore perdita di movimentazione si ebbe dal '77 in poi, con l'apertura dello scalo di Oristano che pian piano finì per soppiantare completamente lo scalo di Sant'Antioco. Per quel che riguarda la movimentazione di merci e lavorati industriali, in porto sulla sponda occidentale esisteva da tempi immemori un impianto di distillazione del carbone dal quale si ottenevano tutti i derivati, dai bitumi alle benzine. I resti dei pontili in ferro erano ancora visibili sino ai primi anni '90, così come il fabbricato degli uffici e i basamenti delle cisterne. Nello stesso sito nel '58 venne edificato lo stabilimento Sardamag (lavorazione di acque salate per ottenere osssido di magnesio) e impiantata la grossa cava di "Mont'e su Sennori". Sulle banchine del porto invece venne edificato lo stabilimento della Baroid International spa, proprietaria di diverse miniere. Lo stabilimento sorse sempre nel decennio '50 e rimase in produzione sino a fine anni '70 lavorando le bariti sarde. Ad oggi, purtroppo, il porto risulta attivo solo per l'imbarco del sale, e poche altre movimentazioni.

La produzione di carbone ebbe un balzo in avanti nel dopoguerra, quando il carbone-sulcis diede il suo contributo alla ricostruzione. Ma già nei primi anni Cinquanta la nascita della Comunità Europea Carbone e Acciaio (C.E.C.A.) rese antieconomico l'utilizzo del carbone sardo. Iniziò una lenta ma inarrestabile crisi del settore. I privati avevano ormai abbandonato la speranza di fare affari col carbone sardo. Rimaneva lo Stato con le sue aziende pubbliche, ma rimanevano soprattutto i minatori e una intera comunità che col carbone era praticamente nata e di carbone aveva vissuto. Di che cosa altro potevano vivere 30-40 mila anime che erano lì solo perchè il ventre del Sulcis era zeppo di carbone?

A seguito della pressione di un intero territorio lo Stato decise di gestire direttamente le miniere di carbone del Sulcis. Gli anni Sessanta furono gli anni della svolta pianificatrice dei governi italiani, della programmazione economica, della nazionalizzazione delle produzioni strategiche, dell'intervento diretto dello Stato in economia attraverso le cosiddette aziende pubbliche. In Sardegna questa svolta prese la forma del Piano di Rinascita. Il settore elettrico e delle fonti energetiche vennero nazionalizzati attraverso la creazione dell'Ente Nazionale per l'Energia Elettrica (Enel) e dell'Ente Nazionale Idrocarburi (E.N.I.).

I governi di quegli anni decisero di affidare le miniere di carbone sarde prima all'Enel (negli anni Sessanta) poi all'ENI (negli anni Ottanta). Ma entrambe le aziende si dimostrarono riluttanti. Lo sfruttamento del settore minerario sardo non faceva parte dei piani delle due società. Entrambe ritenevano le miniere di carbone una palla al piede. Traccheggiavano. Dilapidavanono finanziamenti. Facevano andare in malora cantieri.

Gli unici che riponevano ancora le proprie speranze sulle miniere sono i minatori. I minatori erano sempre di meno, in verità, ma sembrava che a mano a mano che diminuivano di numero aumentassero di combattività. Gli scioperi, le manifestazioni, le marce, le occupazioni scandivano ormai i passaggi cruciali di questa storia. Da ora in poi questa storia non tratta più della storia di una impresa economica, ma della storia del movimento operaio del Sulcis, l'unico vero movimento operaio in Sardegna. Sui minatori del Sulcis nacque e crebbe un movimento sindacale e politico deciso a non arrendersi. Il carbone era ormai considerato l'unica risorsa su cui basare un possibile sviluppo economico industriale della Sardegna.

Gli anni Settanta, Ottanta, Novanta furono per i minatori anni di lotta sempre più disperata e disincantata. Le lotte erano sempre meno inserite in una prospettiva piena di speranza per lo sviluppo industriale di un'intera regione. Al contrario erano sempre più lotte difensive, di semplice resistenza.

Nel marzo del 1973 si svolse a Cagliari la Conferenza Mineraria Nazionale. È la sede in cui con maggiore sistematicità il movimento minerario sardo (che non comprendeva solamente minatori, ma anche politici, economisti, esponenti del mondo accademico e scientifico) operò il tentativo di inserire le sue lotte in un contesto di maggiore respiro: la salvaguardia dei settori minerari carboniferi e metalliferi sardi doveva contribuire a minimizzare la dipendenza dell'Italia dall'estero di materie prime strategiche per il nostro apparato industriale.

Nella metà degli anni Settanta l'Enel si sganciò definitivamente dal settore e venne sostituita da una nuova società, la Carbosulcis, le cui quote di capitale facevano capo alla società statale Ente Gestione Aziende Metallifere (E.G.A.M.) e alla società regionale Ente Minerario Sardo (E.M.Sa). In seguito, alla fine degli anni Settanta, l'EGAM venne assorbita dall'ENI, che affidò le miniere alla sua consociata Società Azionaria Minerario-Metallurgica (SAMIM). Inoltre l'ENI acquisì anche la partecipazione regionale, a cui rimase solamente un simbolico 1 per cento.

Le miniere erano in stand by. Si operavano ricerche, sondaggi e progetti di fattibilità. Si provvedeva alla manutenzione dei cantieri perchè fossero pronti alla ripresa dell'attività estrattiva che si riteneva imminente. Ma ci vollero l'occupazione dei pozzi di Nuraxi Figus e di Seruci nel 1984, il presidio esterno delle due miniere, innumerevoli manifestazioni in Sardegna e a Roma perchè si arrivasse alla legge mineraria del 1985. La legge stanziava 505 miliardi di lire per la riattivazione del bacino carbonifero del Sulcis. La produzione vera e propria riprese il 3 Marzo 1988, nella miniera di Seruci, dopo sedici anni di fermata delle produzioni.

Quella che si aprì alla fine degli anni Ottanta tra i minatori e l'ENI fu una breve luna di miele. L'ENI pareva avere un progetto che comportava assunzioni, acquisto di macchinari, grandi lavori di adeguamento dei cantieri all'attività estrattiva. Ma si trattò di un breve fuoco di paglia. In realtà l'ENI stava semplicemente eseguendo di malavoglia ordini che le venivano dal governo, e spendeva senza molto criterio quei soldi che la legge le aveva messo a disposizione. Agli inizi degli anni Novanta quei soldi erano finiti, e l'ENI, a corto di voglia e di idee, cominciò a preparare la sua fuoriuscita dal settore minerario.

Il progetto dell'ENI si scontrò con le iniziative dei minatori che usarono la sola arma a loro disposizione: l'occupazione. L'obiettivo era sempre quello di riaffermare il carattere strategico della produzione del carbone. L'elemento nuovo era la presenza del consistente polo industriale di Portovesme. Le industrie di Portovesme sono industrie pesanti, fonderie. Industrie energivore, quindi. L'obiettivo era legare il carbone alla produzione di energia elettrica per le industrie pesanti di Portovesme. Altro elemento nuovo era l'affermarsi dell'idea di ottenere dal carbone il gas necessario per far girare i generatori elettrici. Nasceva il progetto gassificazione del carbone, progetto che è tuttora ancora in piedi.

Il progetto si concretizzò nel 1994 in un decreto del Presidente della Repubblica che prevedeva il passaggio delle miniere a un soggetto privato e la sua stretta connessione alla produzione di energia elettrica tramite gassificazione. Ma, non sarebbe neanche necessario dirlo, ci vollero due manifestazioni di minatori a Roma perchè l'allora capo del governo Berlusconi firmasse il decreto.

Nell'ottobre del 1995 la prima asta internazionale per la privatizzazione delle miniere di carbone del Sulcis andò deserta. L'ENI mise in liquidazione la Carbosulcis. La risposta dei minatori fu durissima: occupazione delle miniere, occupazione simbolica della centrale Sulcis a Portovesme, manifestazioni a Cagliari, a Roma, all'EUR sotto il palazzo dell'ENI, scontri con la polizia.

Il risultato finale di queste lotte fu la definitiva uscita dell'ENI dal settore carbonifero e la presa in carico delle miniere di carbone da parte della Regione Sardegna per il periodo di transizione verso la privatizzazione (22 Gennaio 1996).

Il percorso di privatizzazione è ancora in corso a tutt'oggi. Una prima proposta presentata dalla Ansaldo e la Sondel (società del Gruppo Falk) non andò a buon fine perchè le banche non la ritennero "bancabile" (brutto ma utilissimo termine che riassume il giudizio di una banca sulle prospettive di successo economico di una impresa e quindi la sua decisione di finanziarla o meno).


Bibliografia essenziale

Nella redazione di questo articolo mi sono stati particolarmente utili due testi: il primo è un articolo di Paolo Fadda uscito sul secondo numero di Sardegna Economica del 2004, intitolato "L'avventura sarda dell'oro nero tra speranze, illusioni e fallimenti" [link a un sito esterno]; il secondo è un testo di recente uscita, AA.VV. - SARDEGNA: minatori e memorie, edito dalla Associazione Minatori-Memoria con il contributo del Consorzio del Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna.

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