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Carbonia. La città del Carbone

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La Storia di Carbonia: La Città del Carbone

La fondazione della città, la popolazione, la struttura.

"OGGI, IL 18 DICEMBRE DELL'ANNO XVII DELL'ERA FASCISTA, NASCE IL PIU GIOVANE COMUNE DEL REGNO D'ITALIA: CARBONIA".

18 dicembre del 1938, con queste parole Mussolini apriva l'inaugurazione della città di Carbonia. Nasceva la città del carbone, edificata sopra il grande bacino carbonifero del Sulcis. Dal nulla sorgeva una città senza ancora abitanti, senza donne, senza uomini e senza bambini; soltanto le esigenze dell'autarchia in una nazione caratterizzata da una scarsa disponibilità di combustibili fossili decisero la fondazione di Carbonia.

Ma facciamo un passo indietro: il bacino carbonifero del Sulcis non fu una scoperta del regime, esso era già noto nel 1851. Il primo episodio di sfruttamento massiccio si verificò con la prima guerra mondiale, nei siti estrattivi della miniera di Bacu Abis. Per un periodo che va dal 1851 al 1933, sotto la gestione della Società Bacu Abis l'attività riscontrò alti e bassi di produzione. La Bacu Abis fallì nel 1933 e le fece seguito nella gestione "l'Unità fascista lavoratori" fino al 1935 e nel giugno di quello stesso anno il duce vi si reca in visita. Da quel momento Mussolini, colpito dalle enormi e inespresse potenzialità del bacino carbonifero, spinto dalle necessità economico-produttive che l'autarchia imponeva, fece partire la propaganda per promuovere l'edificazione di una nuova città sulla base dello sviluppo minerario del territorio circostante.

Tra il 1935 e il 1936 il potenziamento "autarchico" del bacino carbonifero del Sulcis venne spinto al massimo e sotto la gestione della ACAI venne individuato il bacino di Sirai-Serbariu. Ma nel 1936 non vi era ancora traccia della città; la popolazione viveva ancora in piccoli nuclei abitativi tradizionali, is medaus.

Nel 1938, dopo una costruzione in tempi record, si concludono i lavori per l'edificazione della città: in meno di 13 mesi Carbonia è pronta per ospitare 12.000 persone.

Durante la seconda guerra mondiale, la miniera fu militarizzata. Le attività estrattive subirono un forte calo. L'isolamento e le ovvie difficoltà nell'approvvigionamento di una città che produceva solo carbone fecero emergere le contraddizioni della politica autarchica, una politica che aveva prodotto una realtà paradossale come Carbonia: città non città, sorta per volontà del regime e priva dei presupposti sociali, nata per l'autosufficienza ma capace di produrre solo carbone. In questa situazione iniziarono ad emergere gravi tensioni sociali, contrasti politici e di classe, orientamenti comunisti e incitamenti allo sciopero.

Dopo la Liberazione, le miniere del bacino carbonifero del Sulcis vivono un altro periodo di ripresa grazie al finanziamento del governo Badoglio e ad una congiuntura favorevole: la perdita delle miniere carbonifere istriane e la persistente chiusura alle importazioni dall'estero.

Nel 1947 con la riapertura dei confini alle importazioni, il carbone Sulcis perde nuovamente il suo valore soppiantato dai carboni inglesi, polacchi, più competitivi nel costo e nella qualità.

Inizia il lento ma inesorabile declino del bacino carbonifero del Sulcis. Durante i primi anni di crisi post-bellica vi furono vari tentativi di recupero delle attività: era, infatti, in pericolo la sopravvivenza e il lavoro della maggior parte degli abitanti di Carbonia da sempre legati alla miniera.

Nell'Agosto del 1945 la Carbosarda, guidata dal presidente Chieffi e dal direttore Ing. Rostan, fece riprendere la produzione. Il numero degli occupati passò nell'arco di un anno da 7800 a 11.000 unità, la produzione migliorò fino a raggiungere le 100.000 tonnellate di carbone (1946) anche grazie all'apporto delle miniere di Serbariu, Tanas e Bacu Abis. In realtà l'anno della grande ripresa fu il 1947 e si protrasse fino agli anni '60, periodo in cui il calo del prezzo del carbone portò ad un notevole taglio della produzione ed allo spostamento delle attività minerarie nei cantieri della miniera di Seruci. Fu così che la miniera di Serbariu venne chiusa nel 1971.

Da allora la miniera di Serbariu fu abbandonata a se stessa fino al 1991 quando l'Amministrazione Comunale di Carbonia concluse l'iter per l'acquisto del sito. A partire dal 1991 vennero elaborati i progetti per il recupero e il restauro della miniera e nel 2002 aprì il primo cantiere per il restauro della lampisteria. I lavori di recupero furono ultimati nell'Ottobre del 2006 e il 3 Novembre 2006 venne ufficializzata la costituzione del "Centro Italiano della Cultura del Carbone (CICC) - Museo del Carbone".

Il Centro Italiano della Cultura del Carbone (CICC), presso la Grande Miniera di Serbariu a Carbonia, è stato inaugurato il 3 Novembre 2006. Il sito minerario, inattivo dal 1964, è stato recuperato e ristrutturato a fini museali e didattici. Il progetto per il recupero e la valorizzazione del sito ha reso fruibili, da tale data, gli edifici e le strutture minerarie che costituiscono il Museo del Carbone.

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L'edificazione di Carbonia fu propagandata come fattore di rinascita e stimolo per una "terra fedelissima e troppo spesso dimenticata". Fu una strategia demagogica attraverso la quale ottenere il favore delle classi meno abbienti dei lavoratori sardi, ma fu anche una strategia industriale che permetteva un'organizzazione efficiente della forza lavoro resa sempre disponibile perché stabile e presente in loco. Carbonia sorse così in meno di 13 mesi. La necessità di procacciare delle risorse combustibili all'interno dei confini nazionali metteva in risalto quella che per lungo tempo era stata una terra spopolata e dimenticata dallo Stato. Carbonia diventava la capitale dell'autarchia, degna di essere proclamata dal regime la base delle operazioni dell'autarchia mineraria, città del carbone e simbolo dell'economia autarchica.

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La Popolazione

Un ruolo fondamentale nella progettazione della città di Carbonia lo ebbe l'ACAI (Azienda Carboni Italiani) che si occupò di organizzare la progettazione e il piano regolatore della città affidandoli agli ingegneri Valle e Guidi e ai propri uffici tecnici.

Il criterio seguito per la costituzione di una nuova città fu la vicinanza ai siti di estrazione permettendo in questo modo di concentrare la manodopera in loco. Quindi una città presso le miniere, vicina al porto di Sant'Antioco, costruito appositamente per le esigenze di trasporto del minerale.

La città di Carbonia venne costruita inizialmente per contenere una popolazione di 12000 abitanti, ma quasi subito questo piano regolatore si rivelò insufficiente ad accogliere l'afflusso di manodopera tanto da richiedere un'intensificazione nell'uso dello spazio. La città, infatti, elevata dalla propaganda fascista a simbolo di benessere, diventa l'alternativa alla disoccupazione di tutta l'isola e non solo.

Fu progettata fin dall'inizio per essere una città, e non soltanto un villaggio a bocca di miniera, ma la percezione che ne ebbero i suoi abitanti fu ben diversa almeno fino agli anni '50 del Novecento. Fino al 1958 gli abitanti erano esclusivamente operai maschi (79,6%), ciò che è peggio non si riconoscevano come comunità, visto l'altissimo tasso raggiunto dal flusso migratorio. Infatti, "alle fasi di espansione produttiva corrispondevano intensi flussi migratori, ma con lo strabiliante accrescersi della popolazione non cresceva la comunità". Accadde in tal modo uno dei fenomeni di popolamento più particolari nell'ambito dell'emigrazione costituito dal ricambio totale della popolazione nel giro di un decennio. Anche quando la popolazione cominciò a riconoscersi come comunità e a radicarsi nel territorio sarebbe stato forzato classificare Carbonia come città e comunità per via della compagine sociale poco diversificata costituita da operai e minatori. In realtà questi ultimi non erano che masse di braccianti e manovali che a causa della disoccupazione si erano riversati su Carbonia e le sue miniere nella speranza di una vita diversa. La popolazione di Carbonia, come abbiamo già detto, era nel 1938 di circa 12.000 abitanti, di provenienza geografica eterogenea; la maggior parte era costituita da sardi che sfuggivano alla miseria delle campagne o all'abigeato, anche in seguito alla grave crisi economica dei primi decenni del secolo XX.

Affluiscono a Carbonia persone di ogni genere attirate dalla speranza di un lavoro sicuro e di una nuova vita, sono persone che hanno alle spalle esperienze di vario tipo: lavoratori agricoli, minatori dell'Iglesiente ecc. In breve tempo la città non è più in grado di contenere l'afflusso di popolazione determinato dall'incremento delle attività estrattive soprattutto tra il '35-'40. Nel 1940, infatti, si registra una popolazione di circa 28.944 abitanti, il doppio di quella che era stata prevista dal piano regolatore iniziale.

Non si può per questi anni parlare di una vera e propria comunità soprattutto per l'eterogeneità geografica degli abitanti; della città di Carbonia in quel periodo si può dire principalmente che:

-era presente una popolazione instabile e in continuo ricambio,

-vi era un'immigrazione geografica e professionale diversificata,

-si poteva registrare una disparità numerica tra i sessi.

L'atipicità di Carbonia consiste inoltre nel ruolo assegnato dall'azienda ACAI all'amministrazione comunale. L'azienda infatti, proprietaria delle miniere e della città, intesa come strutture, servizi, strade e marciapiedi esautorava completamente il Comune dalle sue funzioni (anche da quelle limitate previste dal regime fascista).

Quindi:

"Il ruolo dell'ACAI è fondamentale nella nascita di Carbonia e nell'indirizzo dato ai suoi primi anni di vita: commissiona il piano regolatore della città al proprio ufficio tecnico; crea un autonomo istituto per le case popolari, risolve il problema energetico e idrico costruendo una centrale elettrica alimentata con carbone Sulcis, crea un acquedotto".

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La Struttura

L'organizzazione dello spazio nella città di Carbonia rifletteva specularmente la struttura piramidale dei ruoli esistenti in miniera, ma anche i tratti fondamentali dell'ideologia fascista. Infatti, un'organizzazione degli spazi di vita rigida e ben definita rispondeva sia all'esigenza di un criterio gerarchico che riflettesse sullo spazio la gerarchia aziendale, sia a quella di una netta divisione tra "chi comanda e chi viene comandato" riconducibile alla visione fascista della società.

La città fu progettata in due fasi: la progettazione del primo piano regolatore fu affidata all'ing. Valle e all'ing. Guidi, la seconda all'architetto Montuori, il tutto sotto il controllo dell'Istituto Case Popolari dell'ACAI che si occupò della realizzazione dei progetti. Il primo piano regolatore, prevedeva uno sviluppo lineare della città alla testa della quale si trovava la Direzione Generale, Villa Sulcis, seguiva un corpo centrale costituito dagli appartamenti dei quadri aziendali più alti le case dei dirigenti aziendali, le palazzine degli impiegati e minatori (capi, sorveglianti), ed infine una "coda" poco ordinata, riempita dagli alberghi operai, una periferia dunque caratterizzata da casermoni identici. Inoltre la città comprendeva uno spaccio aziendale, le scuole elementari, l'ospedale, il campo sportivo.

Come era avvenuto per le altre città del regime anche per Carbonia la città si sviluppava intorno agli elementi tipici che costituiscono l'immagine della città fascista. Il centro è riservato a luoghi-simbolo: la torre littoria, la casa comunale, la chiesa, la casa del fascio, il dopolavoro. Questo primo piano regolatore s'ispirava ad un criterio estensivo che prevedeva un corpo centrale d'abitazioni quadrifamiliari richiamanti la tipologia di casa colonica di tradizione tipicamente italica. Si trattava di quattro appartamenti per un nucleo familiare da 4 a 6 componenti, con cucina (comprendeva fornello per utilizzazione Carbone Sulcis!), ingressi indipendenti e la quarta parte di 500 mq di spazio verde. Il tutto trasmetteva un senso di squallore e alienazione prodotto dal monotono agglomerato che, solo per via del rapporto tra superficie complessiva e superficie edificati, poteva far pensare ad una città-giardino. Apparve però chiaro fin dai primi tempi che la città era stata progettata per difetto, per circa 12.000 abitanti laddove ormai vi era la necessità di ospitare circa il doppio della popolazione.

Al primitivo criterio estensivo venne dunque sostituito quello intensivo, utilizzato da Montuori per la realizzazione del secondo piano regolatore e che portò alla riduzione e poi alla definitiva eliminazione della superficie riservata ad orto-giardino al fine di aumentare lo spazio abitativo. La soluzione fu ravvisata nella costruzione di grandi parallelepipedi di massimo 6 piani e nell'elevazione delle primitive unità abitative. Questo secondo progetto prevedeva anche la costruzione di una seconda piazza centrale, di una seconda chiesa e di un secondo cinematografo. Questo inoltre rafforzava la tendenza sistematica alla zonizzazione poiché due piazze due cinematografi e due chiese permettevano di suddividere ulteriormente la popolazione.

La trasposizione in Sardegna di concezioni urbanistiche largamente estranee alla cultura dei sardi, l'adozione di una tipologia abitativa inusuale e la mancata considerazione del paesaggio e dell'habitat complessivo, portarono alla costruzione di agglomerati urbani che allontanavano piuttosto che attirare i loro eventuali abitanti.

In tutto questo gli unici punti di riferimento nello spazio cittadino sono la miniera, la casa, il centro civico. Il sistema di comunicazione funziona solo in due sensi: alloggi-miniera e alloggi-centro. Le lunghe strade che attraversano i quartieri conducono direttamente, senza pause spaziali e architettoniche, alla grande piazza centrale attorno alla quale gravitano diverse zone residenziali come abbiamo visto, sempre comunque distanti per motivi di dignità sociale. L'obiettivo era quello di creare una forte zonizzazione a garanzia della separazione tra le categorie aziendali e le classi sociali.

Ma chi poteva risiedere a Carbonia? La possibilità di alloggiare all'interno della città e la qualità dell'alloggio era subordinata all'esistenza di un rapporto con l'Azienda, non solo nel senso ovvio della gerarchia aziendale. Infatti, coerentemente con l'ideologia demografica fascista, il modello sociale preferito era quello della famiglia, anche in una città a bocca di miniera frutto della politica autarchica. Questo accadeva non solo per le ragioni strettamente ideologiche appena riportate, ma anche per ragioni di stabilità di manodopera e controllo sociale soprattutto nei momenti di tensione che non sarebbero tardati ad arrivare. La stabilità, o meglio, il bisogno di stabilità, derivavano dalla maggiore dipendenza, per le esigenze della prole.

In conclusione possiamo dire che: Carbonia non si può dire del tutto estranea alla politica di bonifica integrale (che vide lo strutturarsi di nuclei rurali come Mussolinia e Fertilia), ma essa non nacque come centro rurale, in altre parole non obbedisce ad un criterio di ruralizzazione; il futuro di Carbonia apparve da subito precario legato com'era all'esistenza e alla convenienza nello sfruttamento del giacimento. Del resto anche Mussolini era conscio della provvisorietà di Carbonia benché la propaganda parlasse di Carbonia come di un prodigio, l'opera più duratura del regime.


Sardegna Digital Library Video Carbonia (Istitito Luce).

Sardegna Digital Library Video Visita di Mussolini (Istitito Luce).


Questa pagina è stata realizzata grazie al lavoro di Marcella Collu.


Bibliografia

MEZZOLANI SANDRO e SIMONCINI ANDREA "Sardegna da Salvare. Storia, Paesaggi, Architetture delle Miniere" - VOL XIII. Nuoro, Ed.Archivio Fotografico Sardo, 2007.

MANCONI FRANCESCO "Le Miniere e i Minatori della Sardegna" - Silvana Editoriale, 1986.

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