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| Il territorio di Seulo,oltre a vantare un patrimonio naturalistico e archeologico di tutto rispetto, è in grado di offrire anche un'interessante testimonianza di archeologia mineraria grazie alla presenza, purtroppo poco nota, della miniera di antracite di Ingurtipani. Questo sito minerario, ormai quasi del tutto scomparso nelle sue strutture esterne (rimangono in piedi solo pochi caseggiati lungo la strada che un tempo conduceva alla miniera e che oggi porta ad una proprietà privata utilizzata per l'allevamento del bestiame) o ritrasformato in rifugio per le greggi, è ricoperto da una fitta vegetazione che ne occulta l'esistenza a chi si avventura alla sua ricerca. La miniera di Ingurtipani si estende in una vallata a circa 2 Km a sud di Seulo. L'antracite di Ingurtipani nel primo periodo del '900 poteva rivelarsi adatta per fornaci da calce, per produzione di gas povero, per il riscaldamento degli ambienti domestici, e anche nelle motrici a vapore. Inoltre era usata nel trattamento di molti minerali e, con i sistemi di combustione di quel periodo, che impiegavano il carbone comunemente polverizzato, l'antracite poteva adattarsi ai più svariati usi industriali. Ricordiamo per esempio che l'antracite estratta nella miniera di San Sebastiano poco distante da Ingurtipani veniva inviata a San Gavino per il trattamento dei minerali di piombo e ad Iglesias per lo zinco. Negli anni Trenta del secolo scorso, l'Ing. Tronci, all'interno di uno studio sul giacimento di Ingurtipani, ipotizzava l'utilizzo dell'antracite per la creazione sul posto di una centrale termoelettrica, come riserva agli importanti impianti idroelettrici che in quegli stessi anni stavano entrando in funzione nell'Isola. Proponeva così un razionale sfruttamento delle riserve del sottosuolo . Della miniera di Ingurtipani, delle sue strutture e della sua memoria, è rimasto veramente poco. Per quel che riguarda le notizie storiche si ha notizia che nel 1907 il permesso di ricerca di Ingurtipani appartenesse alla Società Monteponi-Seui, permesso che passò successivamente ad un certo Sig. Olla nel 1911. Negli anni che seguirono si alternarono le ricerche da parte della Soc. des Charbonnages et Barytes de Sardaigne (1913) e alla Soc. An. Carboni , Bariti e Minerali d'Italia (1917). L'unico testo che fornisce notizie di una certa consistenza è quello dell' Ing. Gracco Tronci, che nel 1935 pubblicò un lavoro dal titolo Giacimento di antracite Ingurtipani. A questo testo dunque ci affidiamo per questa breve ricostruzione storica. Dalla relazione sulla miniera di Ingurtipani fatta dall'Ing. G. Tronci risulta che negli anni che precedettero la seconda guerra mondiale l'antracite di Ingurtipani era considerata di qualità nettamente superiore alle altre coltivate a livello nazionale, per potere calorifero, per l'assenza di zolfo non combustibile (solo 1%) e di pirite. A riprova di ciò Tronci riporta quanto detto da Mussolini nella seduta della XII sessione della commissione di suprema difesa del 1935 sulla necessità di valorizzare le risorse carbonifere nazionali per le esigenze di una possibile fase bellica, e aggiunge una breve parte informativa sulle ingenti spese che la nazione aveva dovuto sostenere nel 1934 per l'importazione dall'estero del carbonfossile. A questo punto Tronci richiama esplicitamente l'attenzione sul giacimento di antracite esistente in località di Ingurtipani proponendo una ripresa dell'attività estrattiva, dopo quella disastrosa che aveva caratterizzato il periodo della prima guerra mondiale, ai fini di una valorizzazione delle ricchezze del sottosuolo. Apprendiamo infatti che lo sfruttamento del giacimento durante il '15 -'18 fu attuato in modo indiscriminato e frettoloso con l'unico scopo di approvvigionare in breve tempo il mercato per le necessità conseguenti il primo conflitto mondiale. Secondo l'Autore, fu totalmente assente un disegno progettuale per l'attività estrattiva successiva alla fine del conflitto, per la realizzazione di nuove gallerie e fu totalmente ignorata la ricerca. La cessazione della guerra portò anche all'interruzione delle opere di scavo delle gallerie di scolo delle acque, lavori che erano stati avviati per poter aggirare il nemico numero uno dell'attività estrattiva: l'acqua. Questa, infatti, impediva di raggiungere il settore più ricco del giacimento, la parte centrale della lente per la quale si ipotizzava uno spessore di 3 metri. Sempre a giudizio dell'Autore, la mancanza di un progetto che organizzasse l'attività estrattiva e la coordinasse in vista del futuro si rivelò anche essere la causa della scarsa importanza attribuita a questo sito minerario e del decadimento totale in cui fu lasciato. E ciò nonostante l'avvenire di questa miniera fosse legato e in qualche misura assicurato dallo sviluppo della vicina miniera di rame denominata Funtana Raminosa, i minerali della quale avrebbero dovuto subire un trattamento termico per il quale sarebbe stata molto adatta l'antracite di Ingurtipani. Per quanto riguarda gli effetti della presenza della miniera di Ingurtipani sull'impiego della manodopera locale si riscontra che nelle vicinanze di Seulo al tempo del fascismo vi erano circa 17 minatori, in quel momento disoccupati che, oltre all'avere lavorato nelle miniere della Sardegna, avevano lavorato anche in Francia ed in Germania nelle miniere di carbonfossile; la vicinanza della miniera al centro abitato (tra la miniera di Ingurtipani e l'abitato di Seulo vi è una scorciatoia lunga non più di 2 Km) aveva il grande vantaggio, per i proprietari della miniera, di non dover fornire alloggi. Nello stesso periodo furono affrontati diversi lavori di scavo di gallerie di ribasso e si cercò di riprendere ciò che era stato interrotto dopo il primo conflitto mondiale. Nel primo periodo bellico fu coltivata la zona Nord costituitoda un mamellone ubicato nella sommità della valle di Ingurtipani. Si ricavarono migliaia di tonnellate di antracite non sempre ben scelta vista l'urgenza di effettuare le forniture. I lavori furono condotti esclusivamente col criterio di uno sfruttamento immediato, cercando di estrarre a più non posso carbone, per far fronte alle richieste ed ai bisogni impellenti del momento, e senza sviluppare parallelamente i lavori di ricerca e preparazione per le coltivazioni future e procedere ad un preventivo tracciamento di gallerie. Come si rileva dal testo del Tronci i lavori furono sviluppati alla periferia del mamellone, tra le quote 713 e 733, ma avveniva costantemente che dopo un determinato avanzamento, con gallerie in pendenza che seguivano l'inclinazione dei banchi, si trovava una falda acquifera che ostacolava il proseguimento dei lavori. Questi perciò venivano sospesi ed attaccati in altri punti; perciò la grande massa di carbone esistente nella parte centrale del mamellone rimase intatta. Per poterla sfruttare furono iniziate due distinte gallerie di ribasso destinate a raccogliere le acque e convogliarle nel Rio sottostante (che scorre a poche decine di metri). Ma queste gallerie, il cui scavo era stato già abbastanza inoltrato, per il cessare della guerra, e con lo scadere di un contratto di locazione della miniera furono interrotte. Dopo il '35 i lavori interessarono l'affioramento, lungo il contatto del Giurassico con il Permiano, nella località denominata Su Cannisoni, nel valico tra la valle Ingurtipani e la valle Cannisoni. In tale affioramento fu aperta una prima galleria, N.20, con origine a quota 745, che seguendo sempre in discesa il carbone si addentrava per metri 36, pervenendo a quota 732, dove a causa dell'acqua venne chiusa; l'antracite passava da uno spessore iniziale di 60 cm a 2 metri in alcuni punti; Dal 1954 al 1958 si alternarono diversi permessi di ricerca nell'area di Ingurtipani, richiesti dai permissionari: prima il Dott. Sole di Cagliari, poi il Sig. Marchesi di Cagliari e quindi i Sigg. Secci E. eCaproni T. di Iglesias. Nel 1963 i Sigg. Cherchi S., Ugolotti P. di Ploaghe chiesero il permesso Genna Uassa per la ricerca di combustibili fossili. La falda acquifera deve attribuirsi alle infiltrazioni che avvengono nel soprastante altipiano la cui sommità è formata dal calcare dolomitico, permeabilissimo. Le acque che lo attraversano scendono fino a raggiungere i banchi argillosi dove vengono trattenute. Siccome l'altipiano è isolato, il volume dell'acqua che impregnava la montagna poteva essere facilmente calcolato, e perciò non destava particolari preoccupazioni. Infatti, data la particolare morfologia del luogo, si poteva procurare lo scolo dell'acqua verso le profonde valli che circondano l'altipiano utilizzando le stesse gallerie di servizio per il drenaggio. In vista della necessità di eliminare le acque furono aperte la galleria di ribasso N. 21, il pozzo N. 22 e la galleria N. 26. Durante la stagione invernale, tanto il pozzo che la galleria N. 26 venivano invasi totalmente dall'acqua fino a tracimare. Perciò si presentò come indispensabile ed urgente provvedere allo smaltimento dell'acqua. Non restava che adottare il provvedimento di mettere il fondo del pozzo in comunicazione con l'esterno, ciò che si ottenne aprendo la galleria di scolo, la N. 29, che parte dalla quota esterna 732.In tutta la zona dei 400 ettari costituenti il permesso (Ingurtipani) si calcolò l'estrazione di un quantitativo di antracite non inferiore a due milioni di Tonnellate. L'antracite fu giudicata analoga al tipo delle antraciti inglesi, buona per forni, gasogeni, ecc. Bibliografia Archivio Banca Dati Progemisa-EMSA. "Com'è nata una nuova miniera Italiana (Ingurtipani)" - Le Tre Venezie - Rivista Mensile Illustrata - Anno XII - Numero 7 - Luglio 1937. TRONCI GRACCO "Giacimento di Antracite, Ingurtipani" - Cagliari Stab. Tip. Della società editoriale Italiana 1935. PIGA PAOLO "Contributo alla conoscenza del Bacino Antracifero della Barbagia di Seulo" - estratto da Atti del Convegno di Studi per l'industrializzazione della Sardegna, Aprile 1953. ACCARDO P., MARINI C., SARRIA E. "I Giacimenti Antraciferi sardi: il bacino di Seui". LAMARMORA ALBERTO "Viaggio in Sardegna, Vol. 3" 1857. Carta Geologica 1:25.000, Foglio 218 Isili 1976. Questa pagina ? stata visitata 65304 volte |
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