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(Miniere di Sulcis)
Miniera di Isola di San Pietro (Capo Becco - Capo Rosso)

Le miniere di
Sulcis

  1. Fluminimaggiore
  2. Gonnosfanadiga-Villacidro
  3. Sardegna centrale
  4. Monte Narba (San Vito-Muravera)
  5. Salto di Quirra - Gerrei
  6. Nurra (Alghero) e Planargia
  7. San Vito - Villaputzu
  8. Rio Ollastu (Burcei)
  9. Arburese (Arbus)
  10. Iglesias-Gonnesa
  11. Iglesias-Marganai (Domusnovas)
  12. Monte Arci (Pau)
  13. Sulcis (alto e basso)
  14. Salto di Gessa (Buggerru)
  15. Barbagia - Alto Sarcidano
  16. Gerrei - Parteolla
  17. Monte Albo (Lula)
  18. Silius
  19. Ogliastra
  20. Orani - Nuorese
  21. Sassarese
  22. La Maddalena - Gallura
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Come raggiungere i siti minerari dell'Isola di San Pietro

Da Carloforte si costeggiano le saline e si svolta a destra in direzione di Capo Sandalo. Dopo qualche chilometro, sulla destra, sono visibili i resti della laveria e della centrale elettrica di Macchione. Dopo circa 6 km dall'incrocio si giunge in località Le Tanche; qui si svolta a sinistra su una strada sterrata per circa un km e mezzo. Si arriva quindi ad uno sbarramento rappresentato da una catena che impedisce l'accesso alla proprietà privata in cui ricadono i cantieri e il villaggio di Capo Becco.

In località Punta Nera è ancora possibile scorgere i ruderi della miniera di Punta Nera, facente parte del permesso di ricerca di Pescetti. Per raggiungere tale località da Carloforte si procede verso SUD seguendo le indicazioni per Le Colonne. Dopo circa 5 Km si trova un bivio sulla sinistra che porta alla spiaggia di Punta Nera nei cui pressi è possibile scorgere una piccola altura su cui svettano alcuni ruderi e il pozzo di estrazione in muratura; anche tale miniera risulta all'interno di una proprietà privata ed è quindi necessario chiedere un permesso per accedervi.

La Geologia e la Mineralizzazione

L'Isola di San Pietro dal punto di vista geologico è caratterizzata da una potente sequenza di rocce effusive acide con i loro tufi (rioliti, ignimbriti, comenditi) attribuibili al vulcanismo calcoalcalino del miocene (23-11 Milioni di anni). Il giacimento invece è costituito da un banco stratiforme di qualche metro di potenza incassato tra le rioliti e i loro tufi alla base e le comenditi a tetto.

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In particolare a Capo Becco, il banco mineralizzato è composto dalla seguente alternanza (partendo dal basso): argilla, ocra rossa, manganese (pirolusite), diaspri, ocre giallo chiaro, diaspri, ocre giallo scuro, diaspri, ocre rosso scuro, argilla.

Le ocre sono costituite da argille e ossidi di ferro, e in base al prevalere degli ossidi assumono colori differenti: ocre gialle (limonite), ocre rosse (ematite), ocre viole (ematite + pirolusite). I diaspri sono costituiti essenzialmente da biossido di silicio, ma il prevale degli ossidi di ferro come impurezze, li colora in maniera differenziata.

La genesi del giacimento è legata a fenomeni vulcano-sedimentari (idrotermalismo); l'ipotesi più probabile è che in un basso bacino sottomarino si alternarono diverse effusioni laviche a cui seguirono efflussi di acque termali ricche di sali di manganese e di ferro accompagnati da gayser di SiO2. Questi elementi sedimentarono in un basso bacino marino secondo strati alternati, alimentati dagli efflussi termali, portando alla formazione del giacimento a manganese (pirolusite), ocre e diaspri varicolori.

Storia delle miniere

Ad occidente dell'isola di San Pietro, già in tempi remoti, si scoprirono prima le ocre e poi i minerali di manganese, ricercati per uso metallurgico e per la produzione di vernici. In località Capo Rosso e Capo Becco fu scoperta la maggiore quantità di questi minerali, all'interno di una potente sequenza vulcanica caratteristica dell'Isola.

Già nel 1856 il Sig. Agostino Courtin richiese un permesso di ricerca per l'estrazione delle ocre e del manganese di Capo Becco; qualche anno nel 1871 subentrò nella ricerca il Sig. Casimiro Onittre.

Il 20 ottobre del 1873 Pietro Chareyre ottenne la concessione per una superficie di 110 ettari e iniziò la coltivazione degli affioramenti mineralizzati.

Nel 1877 la proprietà della miniera di Capo Becco passò a Edmondo Piot, già proprietario della concessione della vicina miniera di Capo Rosso. Per rendere profittevoli i suoi rapporti d'affari con commercianti marsigliesi di stoviglie e coloranti, egli fece costruire due forni in modo da poter lavorare il minerale in loco. Tali impianti si rivelarono ben presto inadatti e il Piot si vide costretto ad inviare in Francia il minerale non trattato, con un aumento considerevole dei costi di trasporto. Nel 1894 Edmondo Piot fallì e i diritti sulla concessione passarono ad Alberto Chapelle. Quest'ultimo proprietario concentrò le coltivazioni nei cantieri Steri (ocre gialle) e Toscani (ocre violette e pirolusite).

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Le ocre di Carloforte erano considerate negli anni '50 le migliori del mondo, nonostante i grandi giacimenti Francesi; per il loro potere coprente erano ideali per pitture e vernici; le ocre gialle erano abbondanti, quelle violette meno abbondanti e più preziose. Probabilmente le ocre dell'Isola erano note già da tempi remoti, ma furono lanciate in commercio da un certo Ganni di Livorno, il quale però le commercializzò come Terre di Siena di Sardegna, praticamente un sottoprodotto delle più famose Terre di Siena. A questo non ebbe mai seguito una valorizzazione seria di questi preziosi e peculiari minerali Sardi.

Anni dopo la concessione passò alla famiglia Bellegrandi: sotto questa proprietà la miniera di Capo Becco ottenne una grande rilevanza nello scenario economico dell'isola di San Pietro e sorse anche il semplice villaggio destinato ad ospitare i lavoratori che non rientravano in paese al termine della giornata lavorativa; l'abitato sorse in vicinanza degli scavi a giorno della miniera.

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Nel 1911 le coltivazioni di Capo Becco si concentrarono nei cantieri di San Carlo (ocre rosse, violette e manganese), Melano, Speranza e Fortuna (ocre gialle). A Capo Rosso si aprofondì la galleria Camilla (e venne dotata di un motore Drott da 10 Hp per la ventilazione) e si eseguirono delle trincee nel cantiere San Giuseppe per la ricerca di pirolusite. I minerali venivano convogliati nel punto di approdo sotto il villaggio da dove poi le barche lo trasferivano al porto di Carloforte.

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Nel 1915 fu costruito un semplice impianto di trattamento delle ocre in località Macchione; in tale permesso di ricerca erano attive 2 gallerie che ricercavano pirolusite e psilomelano in venette orizzontali e verticali all'interno delle vulcaniti.

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Nel 1921 la famiglia Bellegrandi cedette la concessione e gran parte dei terreni delle miniere di Capo Becco e Capo Rosso alla Compagnia Mineraria di Capo Rosso, costituita a Roma. Questa società ammodernò l'esistente impianto di Macchione e progettò la costruzione di un colorificio, ma quest'ultimo non fu mai realizzato. A Capo Becco venne installato un impianto per la produzione di energia elettrica mediante un motore Semi-Diesel dinamico da 35 Hp e 220 Volt.

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Nel 1932-35 subentrò il tedesco Otto Kassel, il quale permise una ripresa della miniera anche con la riapertura dei cantieri Millelire ed Ernesto. Nel permesso Pescietti II, tra punta Spalmatore e Punta Mingosa vennero realizzate diverse gallerie per individuare un livello mineralizzato a ferro-manganese con ocre gialle.

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Con l'avvento del regime fascista, nel 1937, la miniera passò alla Società Anonima Monte Valerio (dell'AMMI, Azienda Minerali Metallici Italiani), ma l'Ente, nonostante le grandi possibilità minerarie del luogo, continuò a mostrare scarso interesse. Nel 1940 la laveria gravimetrica di Macchione, realizzata con sezioni di crivelli e tavole venne completata con un impianto di trattamento dei misti; venne inoltre costruita una centrale elettrica da 600 CV, con trasformatori da 775 kVa e 10 km di linea elettrica. L'AMMI era proprietaria del permesso di ricerca "Il Paradiso" che comprendeva i cantieri Macchione e Bocchette; inoltre era attivo il cantiere Calafico, presso l'omonima spiaggia.

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Nel 1940 il permesso di ricerca Pescetti I, passò alla Società Italiana Ernesto Breda che subentrò alla Soc. Anonima Marinelli; la Soc. Breda iniziò i lavori di costruzione di un pozzo di estrazione in muratura collegato ai ribassi Stagno e Breda in località Le Lille; vennero progettati anche uffici, alloggi, una centrale elettrica (alimentata da motore a gas povero da 150 Hp) e una laveria gravimetrica da 50 tonn/8h. Purtroppo nel '43 si manifestò una stasi nel mercato delle ocre, le quali vennero lasciate invendute nei piazzali delle miniere.

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Nel 1950 il Kassel rilevò la miniera riprese i lavori nei cantieri a picco sul mare ma, solo dopo due anni i beni e la concessione furono ceduti ad un dipendente, Eraldo Uccheddu che, con una gestione di tipo familiare continuò i lavori fino al 1977, anno di chiusura definitiva.

Nel 1985 la Progemisa eseguì ricerche e sondaggi con il permesso detto Isola di San Pietro.

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Ora il villaggio di Capo Becco è proprietà privata ed è abitato soprattutto nel periodo estivo. Esso si affaccia sulle ripide scogliere a breve distanza dagli imponenti scavi a cielo aperto e dai multicolori banchi delle ocre. Una teleferica permetteva il trasporto del minerale ai silos costruiti nei pressi di un approdo per le chiatte che portavano lo stesso a Carloforte, ma di questo oramai è rimasta poca traccia.

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I Minerali di Carloforte

Adularia, Calcedonio, Diaspro, Ematite, Limonite, Manganite, Manjiroite, Pirolusite, Psilomelano, Todorokite..


Bibliografia

Archivio EMSA-Progemisa.

Rivista del Servizio Minerario, dal 1882 al 1985.

GARBARINO C., LIRER L., MACCIONI L., SALVADORI I. "Isola di San Pietro, Carloforte" - Edizioni della Torre, 1990.

PINTUS ENRICO (Bariosarda Spa) "Il giacimento ocraceo-manganesifero di Capo Becco-Capo Rosso" - Relazione geominerarie e ricerche preliminari di primo accertamento, Iglesias, 1980.

CAVINATO ANTONIO "Ocre e Diaspri di Capo Rosso" - Estratto da Rend. Ass. Min. Sarda, n. 6, 1956.

CADONI E., PERNA G. "Ocre dell'Isola di San Pietro (Sardegna)" - Atti XX Congr. Reg. Speleologia - Iglesias, 2008.

FOIS SALVATORE "Genesi del giacimento di ocre di Carloforte" - Estratto da Sardegna Nuova - Novembre 1949.

Carta Geologica della Sardegna 1:200.000, 1997.

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